Il Contrabbandiere di sale

 romanzo a puntate



uno

Giovanni Scordia era emigrato a Torino subito dopo la guerra.
Si era sistemato in una casa di ringhiera, quelle con un cesso ad ogni angolo, e di angoli ne hanno quattro.
Quella era in via Mameli, a Porta Palazzo. Erano due stanze, camera e cucina con il cesso situato in fondo al ballatoio in comune con gli altri abitanti del piano.
Aveva fatto il gran salto dalle campagne siciliane. Tutto era incominciato con un piccolo commercio.
Il fatto era ch'avia fatto u surdatu al Nord.
In particolare era stato nel cuneese.
Dopo l'otto settembre erano stati cazzi.
Insieme ad altri surdati, siciliani e calabrisi, si era dato alla macchia. D'altronde “'du curnutu” di Badoglio, e l'ancora cchiu curnutu dei curnuti 'du savoia, mica avevano avvertito i surdati 'taliani! Quelli avevano fatto l'armistizio per i cazzi loro.
E i poveri soldati l'avevano pigghiatu 'ntu culu che ancora c'abbruciava.
'U re e badoglio erano a riparu a Brinnisi, e al nord, i surdati s'erano truvati comu a cristu in cruci.
Vanni era surdatu insieme a quattru so' cumpari che venivano dalle sue zone in Sicilia.
Avevano avuto modo di osservare cosa stava succedendo: molti giovani si stavano organizzando e andavano davanti alle caserme a chiedere armi per combattere fascisti e tedeschi.
Ma i generali non si fidavano di dare armi ai burghisi.
Insomma il bordello era grande assai e nessuno sapìa cosa fari.
I generali erano amminchiunati; a Cuneo un generale degli alpini si stava sfunnannu 'u ciriveddu per sapiri chiffari. Ma ordini non ne arrivavano. I comandi erano muti. Ognuno era pi fatti so'.
Fora dalle caserme la folla rummuliava e gridava: “basta col fascio evviva la repubblica popolare!”
Così, mentre i comandi militari stavano facennu una fuitina generale, e in un nenti erano tutti latitanti, la compagnia di Vanni e dei suoi cumpari, come tante altre, si era trovata, in un nenti, nimica dei tideschi.
Chiddi nun ci pinsavano minimamenti mancu un minutu a futtiri i minchioni 'taliani, anzi, provavano un gran piaciri a dargli la caccia. Erano o no dei traditori?
Da lì a poco sarebbero iniziati i rastrellamenti e i bandi di inquadramento militare. Chi non si presentava era disertore e traditore, la pena era la morte!
Giovanni, per sua fortuna, aveva una gran qualità: era sveglio, anzi sveglissimo. Subitu, avia capito che era megghiu ittarisi campagne campagne.
Darsi alla macchia era l'unica cosa.
Così aveva convinto i suoi amici a nascondersi nelle cascine nella zona tra Fossano e Dogliani. Avevano vagato per settimane.
A lui e ai suoi amici, alcuni contadini, avevano dato abiti burghisi. Le divise le avevano gettate nei fossi. Per un po' avevano avuto fortuna. Settembre è un misi di travagghiu in campagna e, in tanti, avevano offerto rifugio in cambio di lavoro.
Vanni era un picciotto contadino.
Al suo paisi, vicino a Taormina, in una valle stretta e povera, ricca solo di fame, aiutava so patri a zappari e raccogliere frutta. Sapeva, perciò, cosa fare. Vinnignari era 'u so misteri, e poi la vendemmia gli era sempre piaciuta. Aveva le mani d'oro. Coglieva i grappoli d'uva senza spreco.
Aveva un carattere solare sapeva farsi accettare nonostante le differenze culturali.
Si muoveva come un pesce nell'acqua e, con la battuta sempre pronta, sapeva far sorridere i polentoni.
Tutti gli uomini gli davano grandi manate sulle spalle e lui aveva una parola simpatica per tutti.
Questo aiutava in una situazione tetra come quella. Vanni era un ottimista, sapeva volgere ogni rovescio a suo favore grazie ad una visione positiva della vita.
Aveva anche imparato qualche parola piemontese e questo lo aveva aiutato a farsi accettare.
I contadini lo apostrofavano “tarun”, ma con benevolenza.
Non mancavano da quelle parti le distrazioni, le ragazze da lontano sbirciavano quei giuvinot del sud, erano freschi, vigorosi, simpatici e ridevano spesso.
E poi, in paese i giovani erano sempre più rari, uomini pochi in giro, neh, quasi tutti erano in guerra.
Insomma erano un invito ambulante a farsi avanti.

Un giorno Maria Rosa, la figlia dei Seghesio, si fece coraggio e gli chiese: Gianni, ti ses bon a balè?
Giovanni, che ormai si era fatto ben volere e aveva orecchio per comprendere il piemontese, rispose: sì che son capace!
- Duminica j'è 'l bal liscio. Ci vieni con me?
- Sì che ci vengo!
Un sorriso cementò il futuro appuntamento. Maria Rosa aveva adocchiato da un pezzo quel tarun. Era piccolo, ben proporzionato. Gli piaceva tanto. Ma a parlarne al papà, neanche per sogno. L'avrebbe riempita di botte piuttosto che vederla uscire o, peggio, fidanzata ad un napuli.
Perciò bisognava fare di nascosto.
Lei aveva dato a Giovanni le istruzioni: lui, al ballo, doveva arrivare dopo di lei, fare finta di niente e, dopo un po', avvicinarsi alle ragazze sedute ai bordi della pista.
Con educazione, - 'racumandi, mi raccomando - chiederle di ballare.
Lei avrebbe fatto finta di non volere.
Lui avrebbe dovuto insistere un pochino.
Lei avrebbe guardato in direzione di suo padre e avrebbe fatto uno sbuffo come a dire: papà lo faccio solo per accontentarlo, 'stu tarun si.
Il papà a quel punto avrebbe fatto un cenno di assenso, perchè “a j va l'educassion” prima di tutto.
Vanni, saputo che Maria Rosa avrebbe ballato con lui, si preoccupò di procurarsi un paio di braghe un po' decenti. Corse a spendere un po' dei soldi guadagnati per farsi un taglio dei capelli e la rasatura della barba.
Il pomeriggio si presentò, tutto impettito, al ballo, con le scarpe lucide che gli aveva prestato un suo amico.
Non era un gran ballerino, ma se la cavava sufficientemente e poi... lui era lì per altri motivi.
Dopo quella domenica Giovanni era al settimo cielo. Maria Rosa era una bedda picciotta.
A iddu ci facia sangu.
Ma incontrarsi era difficile.
Durante la vendemmia, tra un filare e l'altro, si lanciavano sguardi assassini.
Solo che lei aveva un difetto: pigghiava focu subitu.
Le guance arrussicavano. Il cuore le batteva forte e rischiava di farsi scoprire da so pà.

E i guai non tardarono ad arrivare.  

Nessun commento:

Posta un commento